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L'anagramma

Lettere sparseL'ANAGRAMMA (dal greco ana = a rovescio e gramma = lettera, scrittura) è uno dei più nobili e ricchi giochi enigmistici. Coltivato fin dall'antichità presso i popoli più evoluti, si ottiene scomponendo le lettere di una parola (o frase) per poi riordinarle differentemente, in modo da ottenere, dopo la permutazione, un'altra parola (o frase) di senso compiuto. La parola anagrammabile potrebbe dire di sé, usando un ben noto verso di Dante: « Trasmutabile son per tutte guise », (Paradiso, V, 99). Chi può dire di non aver mai tentato, almeno una volta, di anagrammare il proprio nome (e magari anche il cognome) cercando di ricavarne parole, o frasi, il più possibile significative? Penso che ben pochi potranno vantarsi di essere senza peccato... anagrammatico. E penso anche ai parecchi tentativi, inevitabilmente infelici, come quelli di alcuni « grandi », i quali, troppo pigri per cercarsi uno pseudonimo con cui firmare le loro opere, anagrammarono a vanvera il loro nome e cognome, ottenendo dei risultati lacrimevoli. Chi non conosce il famoso Trilussa (Salustri)? Ma di quest'ultimo grande favolista quanto è più bella e concettosa la frase ricavata dall'intero nome e cognome Carlo Alberto Salustri, e cioè Rubasti l'arco all'estro! Splendida visione, questa, dovuta ad un vecchio enigmista romano che fu amico dello stesso Trilussa. L'enigmista in parola, uno dei nostri più grandi autori del passato, noto sotto lo pseudonimo di Paggio Fernando, si chiamava di nome Tommaso Eberspacher, un tipo estroso che, forse presago della propria tragica fine avvenuta a conclusione di una tribolatissima esistenza, trasse dal proprio nome e cognome l'impressionante versione Ombra mesta che sperò.

 

Casi curiosi

Nell'anagramma di certe persone c'è sovente, in più o meno velate espressioni, racchiusa una frase, che è un auspicio, o quanto meno un'allusione al carattere, se non addirittura al destino della persona stessa. Nell'esempio a destra, durante l'elezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l'ex ministro della difesa, Mario Mauro, appassionato di enigmistica, ha creato questo bell'anagramma che rispecchiava esattamente il momento della giornata. E così, per quel certo non so che di fatale e misterioso che può emanare da queste, chiamiamole così, stranezze letterarie, c'è chi crede nel loro potere profetico e subisce gli influssi di tali manifestazioni ritenendole, in buona fede, emanate da una superiore volontà. In Francia, dove l'anagramma fu introdotto ufficialmente verso il 1550 dal poeta Jean Dorat, questo gioco di parole andò talmente in voga da farsi spalancare le porte della stessa Corte, dove entrò trionfalmente. Ci fu poi un re di Francia, e precisamente Luigi XIII, che, preso dalla più sfrenata mania anagrammatica, istituì la speciale e ben rimunerata carica di Regio anagrammista, della quale il primo titolare fu l'avvocato Tommaso Billon, che compose sul nome del re la bellezza di cinquecento anagrammi più o meno riusciti. Ecco alcuni esempi fra i migliori anagrammi francesi. Dal nome della dolce confidente e maestra di Carlo IX, Marie Touchet, il suddetto Jean Dorat, cambiando una « ì » in « j », trasse la famosa versione « Je charme tout » (« io illeggiadrisco tutto »). Il duca di Biron, anagrammando il nome del re di Francia Henri de Bourbon e ottenendo la frase « bonheur de Biron », si credette legato alla fortuna dello stesso sovrano, il quale effettivamente lo creò maresciallo di Francia e governatore della Borgogna. Il duca, però, diventò così importuno e sfacciato, che fini col cadere in disgrazia. Il fatto non disarmò gli anagrammisti, i quali osservarono che la faccenda non poteva concludersi diversamente in quanto il nome Biron è trasformabile in robin, che in francese significa « babbeo ». Dal nome di Cathérine de Médicis (Caterina dei Medici) fu tratta la terribile combinazione « natile dite de crimes » mentre da quello di Frère Jacques Clement che, come si sa, assassinò il re di Francia Enrico III, fu tratta la versione « c'est l'enfer qui m'a creé » (« è l'inferno che m'ha creato »).

 

Fu celebre ai suoi tempi per i suoi giochi di parole, un certo Pierre Montmaur, professore di greco al Collegio di Francia. Nato nel 1576 da poveri contadini, dopo essere rimasto orfano fu raccolto dai Gesuiti e inviato a studiare a Roma, da dove ritornò molti anni dopo a Parigi col titolo di professore. Ma, insieme col più brillante spirito, rivelò ben presto le più tristi qualità di avaro, di parassita e di maldicente che si possa immaginare, tanto che dal suo nome vennero ricavati i seguenti anagrammi: Pierre Montmaur = « Né pour marmiter » (« nato per distruggere »); « Armé pour mentir » (« attrezzato per la menzogna »); e quest'altro ancor più espressivo: « Mine pour tramer » (« faccia da galera »)! È comune credenza che l'anagramma sia stato inventato dall'antico sapiente Licofrone, uno dei sette componenti la famosa Pleiade presso la corte di Tolomeo Filadelfo. Licofrone avrebbe tratto dal nome di Arsinoe, la bellissima moglie del re, la versione « Eras ion » (« Violetta di Giunone »), e da Ptolemaios (Tolomeo) l'anagramma « apo melitos » (« di miele ») con evidente allusione alla dolcezza del sovrano. Adolfo di Svezia, che nel XVII secolo doveva conquistare Riga e la Livonia, sali al trono assumendo il nome di « Gustavo » anagramma di Augusto (nell'antica grafia latina la « u » e la « v » si equivalgono). Il medico e filosofo tedesco Rudigier, quando era ancora studente, dal proprio nome latinizzato Andreas Rudigierus trasse « Arare rus Dei dignus » (« degno di arare il campo di Dio »). Credette di vedere in ciò un segno divino e si mise a studiare teologia per farsi sacerdote, ma un suo professore, che aveva notato nello studente spiccate attitudini per la medicina, gli fece osservare che « il campo di Dio » è il camposanto, coltivato più che altro dai dottori, e lo convinse a studiare medicina, nel quale ramo Rudigier diventò una celebrità. Dal nome del sommo autore del Cenacolo e della Gioconda, l'autore di questo volume ricavò il compendio di quella stessa straordinaria esistenza, la quale è, si può dire, tutto un mistero d'arte e di scienza: « Leonardo da Vinci » = « arcano del divino »; mentre al grande filosofo e scienziato francese Renatus Cartesius, si poteva giustamente dire: « res naturae tu scis » (« Tu sai le cose della natura »).

 

Alberico da Barbiano, il famoso capitano di ventura, aveva il proprio destino racchiuso nell'anagramma del suo nome « abbia a core il brando »; « Girolamo Savonarola = saliva al rogo romano » (la pena al rogo gli fu comminata da Roma); il « Maestro Giuseppe Verdi = di vigor perpetua messe »; de « L'Imperatore Ottaviano Augusto » si può dire che è « il romano giusto e a tutta prova »; il fervente patriota Benedetto Cairoli era da giovane un « Eroe cinto di beltà », e infine il conte di Cavour era anche nelle peggiori contingenze sempre padrone di se stesso, e non poteva essere altrimenti, perché in « Camillo » c'è sempre « Il calmo ». Allorché col titolo di Pio VI venne eletto papa il cardinale « Chiaramonti », fu eretto nell'Urbe un arco trionfale con il seguente anagramma: « Chinati, Roma! ». Quando invece fu eletto « Giovanni Maria Mastai Ferretti » (Pio IX) comparve questo anagramma in cui erano sintetizzati i desideri del momento: « nomi grati: amnistie, via ferrata ». Papa « Pio decimosecondo = dico, penso come Dio »; mentre, « Sisto quinto Peretti da Montalto, pontefice romano = pastore intento: conquise malfattori, domò potenti ». Famoso l'anagramma tratto dal nome di papa Leone XIII « Gioacchino Pecci » al quale, si diceva, piacevano tanto gli gnocchi ben conditi: « cacio peì gnocchi ». Quando la capitale d'Italia stava per essere trasferita da Firenze nella città eterna, ci fu chi disse, anagrammando il nome di « Vittorio Emanuele secondo = Roma ti vuole e Dio consente ». Frase a cui un noto clericale anagrammista oppose quest'altra versione: « né Dio, né Roma te vuole costi ». Della regina madre « Margherita di Savoia » riscosse a suo tempo entusiastici plausi l'anagramma: « di Roma vaga hai serti ». Lo sguardo della grande attrice « Maria Melato » era « ammaliatore »; mentre la nota poetessa Ada Negri aveva una vera passione per i fiori di « gardenia »; il vulcanico fondatore del movimento futurista, Filippo Tommaso Marinetti, era spesso apostrofato così: « o spirto, l'impeto t'infiamma ». Armando Falconi era un tipo « dal franco animo », come ebbe a dimostrare sfidando a duello un giornalista in difesa della cugina Tina di Lorenzo che poi sposò. Antonio Rubino, l'indimenticabile disegnatore e pittore che allietò i bambini di più generazioni, alludendo al bonario umorismo che traspare dalle sue inimitabili creazioni, diceva giustamente: « Ò un brio innato ».

 

Anagrammi religiosi

Lo storico-enigmista Bajardo (Demetrio Tolosanì), che fu soprattutto il battagliero animatore della rivista enigmistica « Diana d'Alteno », menziona in un suo studio il monaco ferrarese Pompeo Salvi, autore di un libro di anagrammi religiosi stampato a Genova nel 1605. Il Salvi compose, fra l'altro, una serie di ben cinquecento combinazioni anagrammatiche sulla Madonna, delle quali non poche molto belle, e tutte in stretta relazione col soggetto. Di questo eccezionale exploit, davanti al quale c'è da restare strabiliati, ecco la frase « madre » e la successiva: Ave Maria, gratia piena, dominus tecum, Virgo serena, pia, munda et immaculata. Chissà che cosa avrà pensato di questo straordinario componimento il drammaturgo e poeta inglese (vissuto fra il 1631 e il 1700) John Dryden, il quale si compiaceva di definire sdegnosamente l'anagramma: « il modo di torturare una povera parola in diecimila modi diversi ». E chissà che faccia avrebbe fatto se avesse potuto leggere nel volume del sacerdote Anacleto Bendazzi, Curiosità letterarie (1951), l'imponente « Vita di Cristo in mille anagrammi ». Il Bendazzi racconta, in proposito, che condusse a termine il suo tour de force verso la fine della guerra, dopo avervi lavorato, per tutto il 1944, un po' tutti i giorni. Il sacerdote chiude la presentazione della propria fatica chiedendo come coniche sulla sua tomba venga messa una lepida lapide, con "one:

Per te = Prete ­

Storico di = Cristo Dio

 

L'ANAGRAMMA DI GESÙ

Narra la leggenda che Gesù, quando fu portato davanti a Pilato e costui gli rivolse una certa domanda, non rispose, in quanto la più bella risposta era già contenuta, sotto forma di anagramma, nella domanda stessa. Difatti:

Quid est veritas? (« Che cosa è la verità? ») — Est Vir qui adest! (« l'Uomo che ti sta davanti! ») È del dottor Morfina (Guelfo Ferrari) questa stupenda frase anagrammata sul cristianesimo: «è la religione di Cristo = il gran tesoro dei cieli ». Di Spada di Sparta (Spartaco Spadacci) è questa mirabile frase anagrammata continuativa: «il Cireneo scortava = la Veronica e Cristo», mentre impressionante per il profondo significato, tanto da sembrare pervasa di magia, è la seguente frase del Longobardo (Cesare Strazza) « l'al di là misterioso = assillo dei mortali ». Nel ricordo storico su Amedeo VI di Savoia, Giovanni Prati prende in prestito una famosa frase anagrammata del seicentesco fra Antonio Forti e fa dire a Gioacchino da Fiore:

... a quegli eroi

Stefano protomartire lo passi

Santo morto fra pietre, non già noi...

 

San «Domenico» diceva: «Dio con me», mentre ogni donna che si chiami «Maria» è di solito molto devota, tanto che sempre «riam » anche nei momenti più «amari».

E che dire di Dio stesso, ossia Il Creatore, la cui essenza si compendia nella stessa sua divina opera: Cielo, Terra?

 

Le sorprese dell'anagramma

Le sorprese a cui può dare luogo l'anagramma sono pressoché inesauribili, specialmente estendendo il gioco alle frasi. Nel campo dell'amore coniugale: "saldan marito e moglie = il santo legame di amor "; "luna di miele = duelli ameni"; "la moglie à in cuore = il coniugale amore"; "moglie + marito + anelli = il matrimonio legale".

 

PESSIMISMO MATRIMONIALE

Personaggi: LUI - LEI - IL DIVORZIATO DELUSO

LUI (pentito d'essersi sposato). Il peggiore dei mali = è di pigliare moglie! 

LEI (di rimando). Ed il pigliar marito = ti par l'idea miglior?

IL DIVORZIATO DELUSO. Non pigliare più moglie, mai accettar marito = o cieca umana gente, parmi il miglior partito! 

 

IL BARACCONE DELLE MERAVIGLIE

Davanti al baraccone di un Luna Park un imbonitore stava arringando la folla: "Venghino, signori! Con la modica spesa di cento lire potrete assistere ai prodigi del più mirabile mago... Vedrete come qualmente il nostro fenomeno trasformerà con la massima facilità una cosa in un'altra, compiendo dei veri miracoli." Egli, grazie allo straordinario suo potere, vi cambierà una tegola in un gelato, una trota in un ratto, un qualsiasi manico in un potente camion, galline in agnelli, un nocchiero in un orecchino, e tante altre trasformazioni, una più strabiliante dell'altra... "Venghino, signori!... Non lasciatevi sfuggire questa occasione, unica al mondo, di vedere all'opera il mago dei maghi".... Coloro che, messi in curiosità, si fecero convincere ed entrarono, che cosa videro? L'avrete già capito: un anagrammista, cioè un tale che, davanti ad una lavagna, scriveva delle parole e i relativi anagrammi. Dove si vede — direbbe un maligno — che tutto può servire per gabbare il prossimo: anche l'enigmistica.